Le creature del Piccolo Popolo

(Dario Spada)

Il lavoro di Dario Spada sulle creature del Piccolo Popolo è stato certosino: la sua opera è una miniera di informazioni e di riferimenti. Interessantissimo, senza dubbio; ciononostante, non mi ha convinto completamente, per alcune scelte di base che, pur spesso giustificate, non paiono condivisibili. innanzitutto Spada opta per un uso onnicomprensivo del termine “elfi” come esseri fatati in generale; non usa il termine “folletti” se non in un paio di casi e come sinonimo, mentre comprende in “elfi” fate, orchi, troll, nani, gnomi… Rinunciare a una visione precisa e ristretta del mondo elfico, non operare distinzioni con i diretti paralleli (gnomi, nani, folletti), mischiare le carte non sembrano scelte giustificabili. Il testo, poi, per ogni gruppo si limita a una stringatissima parte generale, per poi presentare molteplici casi specifici, con il risultato di non dare una visione d’insieme, ma un lungo elenco di creature tutte simili, con effetti di ripetizione un po’ fastidiosi. Personalmente ho ovviato al possibile effetto noia leggendo prima di seguito le introduzioni dei vari gruppi, isolando gli elementi generali e poi, con questa visione di massima, ho analizzato le singole famiglie. Secondo me è il solo modo per non perdersi nella miriade di informazioni e riuscire ad avere una visione d’insieme che, altrimenti, andrebbe persa.
Non si capisce, inoltre, perché talvolta alcuni sotto gruppi di una famiglia vengano isolati ed equiparati alla famiglia stessa o perché membri di uno stesso gruppo vengano suddivisi in tipologie distinte. C’è una visione non chiara su fate e streghe, spesso accumunate, e ci sono delle contraddizioni, come quella sulla longevità degli gnomi, i quali, si legge, vivono fino a 400 anni o 2000 a seconda della sezione del testo in cui ci si trova.
Essendo un saggio, il rigore dei dati e delle suddivisione dovrebbe essere scontata. Per questa stessa ragione, non ho condiviso la scelta di un tono misto tra saggio e narrazione: è possibile comporre un saggio con lo stile narrativo, ma non si può fare un po’ e un po’. Tanto più considerando che spesso momenti di narrazione servono a riempire sottosezioni una po’ smunte quando per la parte generale non se ne è minimamente fatto uso.
Intendiamoci, il volume ha dietro un gran lavoro e va letto dagli appassionati della materia, ma il rischio è che chi si approcci alla materia senza una preconoscenza solida si senta confuso, e che qualcuno si senta annoiato dalla ripetitività. Perciò il giudizio finale non può non risentire dei limiti rilevati, pur riconoscendo i pregi che l’opera manifesta.

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